
Si dice che il cane sia il migliore amico dell’uomo… a volte e’ cosi’…quasi mai avviene il contrario.
Io non so bene se sono la migliore amica del mio cane perche’ spesso gli rompo le balle, lo so perche’ me lo fa capire ….e come se sbuffasse, come quando una ti sta triturando le palle “non fare questo,…non fare quello…..li no….vieni qui….dove vai!”. A volte la sua mimica facciale e’ cosi’ sottile che nella mia testa tutto cio’ che fa si traduce in parole. Del tipo: quando mi guarda con aria di sufficienza compassionevole, nella mia testa si traduce la frase “ma che palle, ma perche’ si intestardisce cosi’…che ho fatto di male!”.
Quindi per me D.F.P. e’ come se parlasse.
Ho vissuto per circa 2 anni in un paesino un po isolato sotto vari aspetti e punti di vista.
Una sera ero un po depressa, molto sola ed abbastanza in paranoia, era inverno, c’era gia’ buio e fuori c’era freddo ed aveva appena smesso di piovere. Decisi di scendere in strada ed andare a prendere una birra al bar.
Scesi le scale di casa, apri’ la brutta porta in ferro e vetro, il suo cigolio ritmo’ i due scalini che separavano il livello della casa con quello della porta. La testa bassa…non mi aspettavo niente. Chiudo la porta infilo le mie mani, sempre secche e dure, nella tasche della giacca, mi giro direzionandomi nel mezzo della strada contorta e artritica del centro storico. Tutto era illuminato di giallo, quel giallo crema che sa di rancido dei borghi vecchi di paese, dove i muri conoscono tutto di tutti. Alzo un po gli occhi e ce’ li qualche cosa.
E’ un cane. Molto magro, nero spelacchiato. Mi guarda….Lo guardo.
Lo guardo piu’ profondamente. Scodinzola.
Incominciai il mio cammino. Lui mi segue. Mi segue costantemente. Non c’era nessuno, solo un po di vento e qualche goccia dalle grondaie. Ogni tanto mi giro e lui e’ sempre li.
Continuo la mia strada…stranamente non mi sentivo piu’ sola….ma qualche cosa di peggio…mi sentivo inseguita…controllata…imitata. Decisi quindi di giocare con la situazione e sfidare il caso scegliendo di andare al bar che si trovava dall’altra parte del paese, a circa 1kilometro. Arrivo al bar. Il tipo a 4 zampe tutto nero e’ ancora li. Lui non entra…non c’era stato bisogno che glielo facessi capire io in qualche modo…Lui non e’ entrato e basta, fingendosi quasi disinteressato. Bevo la mia birra piccola ed incontro due anime conosciute con le quali scambio qualche parola. Passata circa mezz’ora, esco. Il Tipo nero a 4 zampe era li che fingeva di guardarsi intorno. Intrapresi il cammino di casa. Lui era li. Ormai lo conoscevo….insomma era mio amico! M’aveva aspettatto. Ma che cavolo…io mica glielo avevo chiesto. Allora lo guardo e gli faccio un sorriso, allungo una mano e gli faccio una carezza sulla testa. Aveva un taglio profondo nell’attaccatura dell’orecchia. Mi fa gli occhi “da cane bastonato”.
Arrivo a casa, lo ringrazio per la compagnia e gli dico che era stato importante…non mi ero sentita sola durante il tragitto…m’aveva fatto stare bene. Gli do un’altra carezza. Lui chiude gli occhi, allunga la testa ed il collo, come per aumentare il tempo e la superficie di contatto tra la mia mano ed il suo pelo ispido e sporco. Lo saluto l’ultima volta e salgo in casa. Appena entro in cucina penso al cane nero, penso che magari cercava qualche cosa per mangiare. Allora prendo un salamino di sangue di maiale, un sanguinaccio, fresco che m’aveva regalato un mio amico del paese, ma che a me non piaceva. Scendo in starda con il pacchettino di carta stagnola. Lui era ancora li nella stessa posizione. Mi guarda ed incomincia a scodinzolare ritmicamente come se qualcuno gli avesse caricato la corda della coda. Appoggio il pezzo di stagnola col sanguinaccio sul pavimento. Lui si avvicina al cibo. Annusa. Mi guarda. Annusa di nuovo. Mi riguarda. Si volta e se ne va. Se ne va per la sua strada. Un’altra strada, una strada differente da quelli che pensano che basti un po di cibo per farci stare bene.
Passano alcuni giorni. Ogni tanto penso al mio incontro con il cane nero ed a tutta quella magia che aveva impacchettato quei momenti…propio come un regalo, un anedoto piacevole da ricordare ogni tanto.
Oltre al lavoro facevo altre cose, nel paesino. Ogni tanto, per mantenermi “in forma” andavo a correre lungo il fiume che passava di li. Allaccio le scarpe da ginnastica, corro rapidamente giu dalle scale, apro la porta esco. Il vento fresco mi spinge e mi svuota la testa. Alla casa gialla giro a destra, entro in una vietta stretta e puzzolente, in fondo a sinistra, il piazzale, il ristorante, il museo, il meccanico di moto. Costeggio il giardinetto sulla sinistra , passo tra due vecchi cipressi e salgo fino ad imboccare il ponte che mi portera’ dall’altra parte del fiume e finalmente in campagna. In questo punto, per tre giorni a fila incontravo il cane nero. Mi seguiva per il resto del mio tragitto. Correva felice, saltava nei prati, inseguiva gli uccelli, mi guardava e scodinzolava felice. Per questi tre giorni il cane nero mi accompagnava fino alla porta di casa. Non accettava mai il mio cibo. Al mattino lo ritrovavo li sul pianerottolo, arrotolato come una Girella. Si stiracchiava e le sue ossa schiccavano come quelle di un vecchietto, mi guardava dritto negli occhi e nella mia testa sentivo dire “Buongiorno”. Cosi’ rispondevo “Buongiorno”.
Andavo a lavorare e la sera quando tornavo era li. Alla fine io ho deciso “tu sei il mio cane….va bene?” e lui credo che abbia detto la stessa cosa di me. Cosi’, dopo un bagno di un’ora e una lunga seduta dal veterinario, il cane nero e’ entrato in casa.
Ora sono 2 anni e mezzo che io e D.F.P. viviamo insieme.
Lo so che potrebbe essere banale, ma D.F.P. per me e’ stata una delle piu’ grandi lezioni di determinazione, coraggio, spontaneita’ e pazienza a cui io abbia assistito fino ad ora.
State bene.